La "febbre" del Tribuno (9.09) - Il Medioevo si avvia verso la fine. La trentennale “cattività avignonense” di tre Papi ha segnato il declino demografico di una Roma lasciata alla mercé dei
"baroni" (Colonna, Orsini, Savelli, ..). L’anno 1347 vede l’inizio di quella la
parabola settennale di Cola di Rienzo che ancora solleva interrogativi tra gli storici. Cola era figlio di un taverniere e di una lavandaia. Divenne in un breve lasso di tempo Segretario della Camera Apostolica, Tribuno del popolo, Console, Senatore e
Candidatus Spiritus Sancti. Di bell’aspetto, unì agli studi (notaio) ed alla spiccata passione per l’antichità memorabili capacità comunicative. La sua invidiabile oratoria coinvolgeva perfino gli
incolti. Cola illustrava i suoi programmi politici ricorrendo all’uso di grandi affreschi dove tutte le figure avevano il loro
cartiglio (come nei moderni fumetti). Conquistò il popolo romano proclamando quegli “
Ordinamenti dello buono stato” (diminuzione delle tasse, sostegno ai bisognosi, guardie pubbliche e milizie rionali, giustizia uguale per tutti) che rappresentavano a Roma l’esatto contrario di una vita quotidiana fatta di banditismo dilagante e di impunite soverchierie nobiliari, di disavanzo economico e di oppressione fiscale. E fu così che in Campidoglio salirono gli esponenti della borghesia romana (giudici, notai e mercanti) a giurare fedeltà alla sorgente
Repubblica. Da Roma vennero cacciati i
baroni riottosi al nuovo ordinamento. Poi arrivarono le ambascerie di tutta l’Italia centrale, ma anche da Milano, da Venezia e perfino dalla Puglia. L’Urbe sembrò rinascere agli antichi splendori. Cola di Rienzo rivendicò la
potestà del popolo e conferì la "cittadinanza romana" a tutte le
genti italiche. Si conquistò anche l’ammirazione del Petrarca. Ma ... Insieme alla fama di
novello Cesare, cresceva in lui la ambizione del Tribuno. Interpretò la sua “missione storica" con tale spirito egemonico e tale fervore mistico-profetico al punto che proprio il suo governo, dopo appena pochi mesi, cominciò a ripercorrere gli eccessi del
dispotismo appena scalzato. Spinto dall’arroganza di essere un
“prescelto” Cola di Rienzo si abbandona al lusso ed alla gola. Si rivale sugli oppositori (veri o presunti) eccedendo in violenze, in estorsioni ed in esecuzioni capitali. Poi, sempre più in preda alla paranoia,
“non fa parlamento per paura dello furore del popolo”. Da sempre legato alla
benevolenza papale, quando avverte che il potere gli sta sfuggendo cerca l’appoggio dell’Imperatore. Per mantenere i suoi mercenari fa sempre più ricorso alle confische ed all’inasprimento fiscale. Così, l’8 settembre 1354, neppure la sua ultima arringa ferma la mano armata del popolo romano che, ormai esasperato, ha invaso il Campidoglio. Tentò inutilmente la fuga mascherandosi da
pezzente ed alterando anche la voce. Il suo cadavere restò per due giorni appeso davanti a San Marcello e venne poi bruciato presso il Mausoleo di Augusto. Dopo cinque secoli G.Belli dedicherà a Cola il sonetto
“Lo scordarello”. Cambiano i tempi, ma la
febbre del Tribuno non conosce cura o vaccino.